Lo scandalo della carne di cavallo spacciata per manzo e finita nei surgelati venduti dai supermercati europei ha dimostrato quanto è difficile sapere esattamente cosa si mette nel piatto. E l’allarme è scattato sia tra i consumatori sia tra le autorità pubbliche.
Il 15 febbraio 2013, intanto, i Paesi Ue hanno dato il via libera ai test a tappeto sul dna dei prodotti pronti a base di carne.
ARMONIZZARE IL MONITORAGGIO. L’Europa «deve ancora cercare di armonizzare il monitoraggio», ha affermato Agostino Macrì consulente dell’Unione nazionale consumatori che ha lavorato a lungo all’Istituto Superiore di Sanità.
1) L’etichetta del bovino indica sempre l’origine
Dal 2002, le etichette della carne bovina devono contenere informazioni sulla nascita, l’allevamento, la macellazione e anche il taglio della carne. Il nuovo regolamento Ue sulle etichette alimentari, varato nel 2011, prevede l’indicazione di origine anche per la carne suina, ovina, caprina e il pollame.
Le nuove leggi scatterrano entro due anni, cioè entro la fine del 2014.
Dopo questo scandalo, l’Unione potrebbe decidersi ad estendere gi obblighi anche alla carne equina. Nel frattempo, però, il consumatore può avere informazioni dirette solo sulla filiera del manzo.
2) Preferire carni italiane, le più controllate d’Europa
L’Italia macella internamente la maggior parte dei capi di bestiame che importa. Con vantaggi per il consumatore. Il nostro Paese, infatti, è l’unico in cui per ogni mattatoio c’è un veterinario dipendente dal Servizio sanitario nazionale, che fornisce maggior sicurezza sui controlli.
Nel resto dell’Europa, invece, spesso si trovano veterinari privati.
ANALISI A CAMPIONE. In ogni provincia italiana, è presente un laboratorio dell’Istituto zooprofilattico che compie controlli chimici, microbiologici e sul dna delle carni: decine di migliaia ogni anno. Ogni giorno i tecnici delle Asl analizzano lotti di prodotti alimentari a campione e spediscono i prelievi all’istituto.
Le analisi sono le stesse in tutti i Paesi Ue e sono previste dal Regolamento europeo 2073 del 2005.
In Italia, fa la differenza il ruolo svolto dal ministero della Salute. I tecnici che ispezionano gli stabilimenti di produzione dipendono dalla sanità pubblica e quindi hanno una sensibilità più alta sulle questioni sanitarie.
In molti Paesi Ue, invece, la filiera dei controlli dipende più semplicemente dal ministero dell’Agricoltura. A queste verifiche, si aggiungono le analisi del Food veterinary office, l’ente europeo incaricato di ispezioni a campione sulla filiera alimentare di diversi Paesi Ue.
Quello che ancora manca è l’armonizzazione del monitoraggio per tutta Europa: garantirebbe uguali analisi veterinarie anche nei prodotti importati.
3) Evitare la carne che arriva dai Paesi dell’Est
Secondo gli esperti, la carne europea è sicura. I produttori, infatti, devono rispettare tutte le norme contenute nei regolamenti Ue 852 e 853. Le leggi precisano le condizioni da rispettare per ogni fase della produzione: l’allevamento, la nutrizione e la macellazione degli animali.
STANDARD DI BRUXELLES.Anche i Paesi extra Ue per esportare nell’Unione devono rispettare gli standard di Bruxelles. In sostanza, i produttori americani vendono carne di mucca trattata con gli anabolizzanti negli Usa, mentre in Europa esportano i manzi di allevamenti ad hoc.
L’anello debole della catena però sono i Paesi dell’Europa dell’Est, da cui provengono la maggioranza delle importazioni italiane (soprattutto Polonia, Romania e Bulgaria). In questi Paesi, infatti, esistono ritardi nell’applicazione della legge europea, dovuti al recente ingresso nell’Unione.
4) Scegliere quella equina solo se si conosce il luogo di macellazione
Il rischio della concentrazione di farmaci nella carne equina, uno dei fattori di preoccupazione in Gran Bretagna, è in realtà basso.
La prima regola imposta dalla Ue alla filiera è l’assoluta separazione tra la filiera del cavallo sportivo e quello destinato all’alimentazione umana. In teoria, dunque, è altamente improbabile che vi siano tracce di farmaci nella carne destinata al consumo alimentare o nei suoi derivati come i prodotti trasformati (per esempio ragù pronti, hamburger e lasagne surgelate).
MENO TRACCIABILE. Tuttavia, la carne di cavallo è ancora la meno tracciabile: la stessa Commissione ha ammesso che esistono lacune nel controllo della filiera.
Negli ultimi anni, si è corsi ai ripari: tutti i cavalli nati in Italia dal 2007 (e dal 2009 negli altri Paesi Ue) sono dotati di microchip elettronico che traccia tutti i movimenti e i passaggi di proprietà del bestiame.
Restano ovviamente in commercio tutti i capi più anziani, su cui i ministeri dei Paesi Ue – in alcuni casi quelli della Salute, in altri quelli dell’Agricoltura – dispongono comunque di un’anagrafe divisa per animale e produttore.
Le informazioni, dunque, esistono. Ma non sono disponibili per il consumatore.
5) Evitare i prodotti confezionati
Non c’è etichetta che indichi i luoghi di produzione e d’origine delle uova con cui vengono realizzati i prodotti alimentari distribuiti nei supermercati o del ragù contenuto nelle lasagne pronte per il consumo.
LUOGO E MARCHIO. Sui prodotti preconfezionati sono solo due le informazioni disponibili (a parte i valori nutrizionali e gli ingredienti): il luogo di produzione del prodotto finale e il marchio.
Nel mercato globalizzato, il brand dice poco sul percorso del cibo.
Gli esperti rassicurano: i controlli sanitari e veterinari proseguono per tutta la filiera e arrivano anche ai prodotti preconfezionati e surgelati. Se il consumatore riscontra qualcosa di sospetto, può rivolgersi direttamente alle Asl e ai Nas.